Non è posto per donne
O meglio, non è posto per mamme.
Ci sforziamo ogni giorno di combattere per mantenere il lavoro, ci proviamo, leviamo tempo e affetto ai nostri figli e per cosa?
Per combattere continuamente con una società perversa, che non ti permette di conciliare le due cose.
E’ inutile.
E’ una battaglia persa.
Non puoi essere madre e lavorare in una società competitiva.
Lo scrivo oggi, quando mi viene chiesto di fare delle call di allineamento settimanale alle 20.00 di sera, quando io sono (o dovrei essere) a casa con le mie bimbe.
Lo scrivo oggi che leggo un’articolo di Mkinsey che dice che vuole rivalutare l’assunzione di madri da lei stessa cacciate per non perdere il capitale umano (http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-corsa-a-riassumere-le-donne-lasciate-a-casa-per-la-maternita/#more-9752).
Pensarci prima, no?
Lo scrivo oggi perché la mattina le mie figlie piangono perché vado al lavoro o solo perché vorrebbero almeno che riuscissi ad avere tempo per cenare con loro o per andarle a prendere qualche volta all’asilo.
Chiedo troppo, vero?
Perché per tenermi questo stramaledetto lavoro devo sacrificare la mia vita di madre e la loro gioia di passare un po’ di tempo con me?
Perché se non si lavora 10/12/14 ore al giorno si viene considerati nullafacenti? Ci sono persone che stanno in ufficio tutto questo tempo e sono meno efficienti di altre che ci stanno solo 6 ore ma che lavorano con passione.
Questo sfogo oggi è incontenibile.
Non so quanto riuscirò a resistere ancora.
Tutti ti dicono: ‘tieniti il lavoro, i figli crescono, poi te ne pentirai’.
Siamo sicuri? I figli crescono e io mi pentirò di non aver dedicato a loro abbastanza tempo, di non essere stata una mamma presente, di aver visto la tristezza nei loro occhi.
O meglio, non è posto per mamme.
Ci sforziamo ogni giorno di combattere per mantenere il lavoro, ci proviamo, leviamo tempo e affetto ai nostri figli e per cosa?
Per combattere continuamente con una società perversa, che non ti permette di conciliare le due cose.
E’ inutile.
E’ una battaglia persa.
Non puoi essere madre e lavorare in una società competitiva.
Lo scrivo oggi, quando mi viene chiesto di fare delle call di allineamento settimanale alle 20.00 di sera, quando io sono (o dovrei essere) a casa con le mie bimbe.
Lo scrivo oggi che leggo un’articolo di Mkinsey che dice che vuole rivalutare l’assunzione di madri da lei stessa cacciate per non perdere il capitale umano (http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-corsa-a-riassumere-le-donne-lasciate-a-casa-per-la-maternita/#more-9752).
Pensarci prima, no?
Lo scrivo oggi perché la mattina le mie figlie piangono perché vado al lavoro o solo perché vorrebbero almeno che riuscissi ad avere tempo per cenare con loro o per andarle a prendere qualche volta all’asilo.
Chiedo troppo, vero?
Perché per tenermi questo stramaledetto lavoro devo sacrificare la mia vita di madre e la loro gioia di passare un po’ di tempo con me?
Perché se non si lavora 10/12/14 ore al giorno si viene considerati nullafacenti? Ci sono persone che stanno in ufficio tutto questo tempo e sono meno efficienti di altre che ci stanno solo 6 ore ma che lavorano con passione.
Questo sfogo oggi è incontenibile.
Non so quanto riuscirò a resistere ancora.
Tutti ti dicono: ‘tieniti il lavoro, i figli crescono, poi te ne pentirai’.
Siamo sicuri? I figli crescono e io mi pentirò di non aver dedicato a loro abbastanza tempo, di non essere stata una mamma presente, di aver visto la tristezza nei loro occhi.
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